Il Ferraris di Caserta apre le porte alla Didattica a Distanza dando spazio alle emozioni.
Proposti i versi di Giò Evan, poeta e scrittore contemporaneo, come spunto di riflessione.

I versi di Gio Evan (poeta, scrittore contemporaneo)

Questo virus non ci sta uccidendo,
ci sta insegnando che non dobbiamo lasciarci soli,
che se togli il tocco
resta lo sguardo
che se togli l’approccio
resta il pensiero,
che non c’è matematica al mondo
che possa vivere di sola sottrazione,
per quanto la vita a volte usi espressioni difficili
noi, possiamo sommare meraviglia
e moltiplicarla per chi
continuamente divide
finirà presto, come finiscono
tutte le cose senza cuore
come fanno i tornadi
le onde arrabbiate dei mari giganti
i terremoti, le tempeste,
vengono devastano e se ne vanno,
e non c’è da inaridirsi
né da annaffiarci di collera spietata,
è la loro natura, venire distruggere e andare
è la loro natura,
la nostra natura invece
è quella di restare
e a chi resta
resta il compito di costruire
e come abbiamo costruito un’Arca
per salvare la vita ai tempi delle immense piogge
oggi siamo chiamati a difendere le nostre piogge interiori
a non lasciarci affogare dall’indifferenza
dall’odio, il razzismo, la paura
a costruire la nostra Arca dentro
per mettere in salvo la generosità,
l’accoglienza, il senso di pace, il servizio, l’umiltà
questo virus non ci sta uccidendo,
ci sta ricordando che siamo fragili
che non dobbiamo dare per scontato questo corpo
che non si scherza con la terra
che non si prende in giro il cielo
e che c’è sempre un’occasione
per restare amorevoli
non posso toccarti, dicono,
ma senti,
senti come ti abbracciano forte
i miei occhi.

Gio Evan

Poesie tratte dagli elaborati dei ragazzi:

–Speranza —

di Marotta Valeria –

classe 4° A turistica

Nessuno lo aspettava e lo conosceva,
straniero venuto de lontano,questo virus ha portato panico e divisione
tre le gente, ma anche una nuova unione.Amore
oggi é sinonimo di allontanamento,

non ti posso toccare, me ti vedo
non posso starti accanto, me ti sento…
Inizia a dilagare la paura,
e con lei egoismo ed irresponsabilità,
pazzia del momento in cui ti senti solo,
e cerchi di scappare da un fantasma,
già dentro te.
Regole e norme,
campana di vetro dove vivere, ma
anche il piú debole dei corpi la romperà,
dimenticando come vivere.
Anche la creatura piú innocente
dal sole del sorriso, passa
alla pioggia degli occhi con un colpo di tosse.

Ci stiamo ammalando anche solo con il pensiero,
me passerà

LUNEDI 9/03/2010

 

 

–Il lume poetico che alge malattia e frenesia-

di Sabrina Pannone

classe 5° A turistica

 

Preambolo

Dalle velleità, speranze, auspici, fiducia e veli di temenza dell’anno trapassato, siamo approdati alle dure realtà stucchevoli del 2020; un anno che, già numericamente dà l’impressione di essere ambivalente: una congettura personale, mi dice che il primo 20 avrà forse significato empio, l’altra cifra numerica invece, potrà cambiare radicalmente tutto e sorprenderci, repentinamente. Apre un varco aperto, con poca lucentezza e pessima levità d’animo; abbiamo visto delle Nazioni contendersi, Venezia affondare in sé stessa portandosi via l’illustrissima cultura che ha oggi connotato l’Italia. Niente riesce a persuadere l’attenzione cauta dell’animo impietrito dell’uomo; ma io, controcorrente, riesumo dal Lete dell’oblio quella panacea che ieri faceva da sciroppo al mal di cuore: la poesia.
La poesia perseguita da un uomo, una donna o – chicchessìa- fragile, talvolta un po’ logorroico, o stringato nel parlare, ma prolisso nel proprio vademecum poetico; costui o costei è il/la poeta/poetessa.
La poesia è le spalle, la pelle riarsa, le ossa tisiche, il cervello del poeta. E come disse Robin Williams ne “L’attimo Fuggente” ciò che ora come ora, può salvare il mondo lo si ritrova nell’agreste talamo del mondo: la letteratura, la poesia, l’amore. Caratterizziamo d’ora in poi quest’anno dal badare persino ad un singolo germoglio piantato nel terreno fecondo; piccolo ed indifeso.
Uomini di politica compiono errori paternali attraverso la loro politica contesa, ostica, inculcato a voce alta con un tenore sconcertante. Che evento inaudito, che sgomento! Ci mettono alla prova, e quel che sappiamo fare è azzuffarci o ribellarci dalle norme sanitarie, pusillanime e codardo è l’uomo odierno!
Or bene, nel frattanto che stipuli un sodalizio caldeggiato con altri poeti; il mio inchiostro tange le righe del foglio, e come una forsennata, scrivo. Scrivo a profusione.

Avvezzi al buio
Quando la
Luce
S’imbrunisce,
S’attutisce,
Dissipa via.
La Rivoluzione
sta nel
brandire
Un lanternino
Quale possa
Condurre verso
Albe rossastre,
Mattini solidali
Cuori arditi e
Rutilanti,
Globali.
Epidemie, catastrofi, lacerazioni
Nel mondo;
L’universo starnazza
Sanguina le ferite
Aperte
Adempiute dai
Vili,
Questa difficoltà
Mette alla prova
-se resta ancor-
Mondezza umana,
E allor dunque
Se fosse così
Siamo lèna
Ai nostri polmoni,
E pacati
Lottiamo.
Lottiamo contro
Quell’infida
Consuetudine
Arcana, mal vestita:
Riprovevole
Individualismo;
Che sferza connessioni
Impecia peggio
Del medesimo virus,
Macchia
L’anima di nerezza.
Il fragorio
Delle vestigia d’uomini,
Asseconda
Le grida
Inquietanti
Provenienti
Dai gironi
Abissi di Caina
E sua sorella, Antenora.
Se, dunque,
Compiere un atto
Anticonformista
Comporta di
Riavere l’onore
Di cingerti a me,
Scaldare le tue labbra
Con le mie,
Io correrei il privilegio;
Rintanandoci
In questa quarantena
Sommessa,
Defusione dal contagio
Parabola morale
Di un rifugio cagionevole,
Ove solo le tue braccia
Affibbiate
Alla mia gracile vita,
Forse, potranno
Impedirmi
Di temere quella
Guardinga signora, che
Spesso
Oggi fa visita: la Morte.

LUNEDI 9/03/2010